La mia è una “Piccola voce”

Lecce. Casa Alloggio “Piccoli Passi” - Casa per la Vita “Le Casette”

Per introdurci

La mia è una “piccola voce” nel coro che ritma gli anni di vita e il legame fraterno che rende salde e giovani le radici della Comunità Emmanuel, e mi piace cantare così:

Beato chi resta piccolo per rimanere a disposizione di Dio in qualunque momento, i piccoli ascoltano, i piccoli chiedono, i piccoli sono coloro che attendono tutto da Dio (Ernesto Olivero, Buona Giornata. 3 dicembre).

In questa attesa di apprendimento della Sua Voce tra le tante, l’ascolto si è affinato e abbiamo cercato e dissodato il terreno per renderlo soffice e adatto ad accogliere il grido dell’umanità ferita che traduce la sofferenza in chiusura, solitudine, rifiuto di sé e dell’altro, confusione e perdita di umanità nelle espressioni più socializzate quali il pensiero, la voce, il linguaggio, la relazione, l’affetto, la bellezza e la speranza.

La nascita, la crescita, la scelta

Siamo nati come gruppo e come sottosettore nel 1992, siamo cresciuti accogliendo, ogni giorno e ogni notte, una giovanissima schizofrenica che sapeva metterci a disagio, ogni giorno, e noi, ogni giorno, abbiamo appreso a osservare, a interrogarci, a mettere insieme persone, a ricostruire storie di dolore e a conoscere cosa l’umanità nega e produce.

Nelle nostre storie personali, che pure tenevano insieme il lavoro, lo studio, le difficoltà, è nata una “ricerca di integrazione” tra noi, e tra noi e l’altro, nel riconoscerlo e accoglierlo quale compagno/a di cammino, e cercando un linguaggio e una azione comune che ci aiutassero a tenere insieme le nostre diversità.

Da qui tante altre scelte: la formazione costante e una metodologia che mettese al centro la persona, i bisogni e i desideri delle persone con cui ci accompagnavamo e gli obiettivi riabilitativi psico-sociali che la formazione ci forniva con il recupero delle relazioni familiari e sociali insieme a una nuova possibilità di benessere futuro nella società, integrando e favorendo l’autonomia, le diversità e lo spazio personale e creativo di ciascuno.

Quest’arte l’ho appresa dalla relazione quotidiana con i bambini – sono stata un’educatrice per molti anni – dalle famiglie e dal desiderio di approfondire una ricerca ampia di senso che, mentre pacifica e procura unità interiore, non smette di cercare e gustare la bellezza di cui è impregnata la creazione e le mani, la mente, il cuore dell’uomo che vi si riconosce e desidera e vuole riuscire a trovare nuove risposte di senso.

Il nostro gruppo di volontari, che nel 1992 nasce, guarda alla disabilità spinto a migliorare la risposta a una mancanza che limita la persona e la chiude a una comunicazione e a uno sviluppo più ampi. Successivamente la ricerca, la relazione e la riflessione comune ci indirizzano al diritto alla salute mentale che, se negato, genera disabilità tra le più gravi.

Professionalità, metodologia, efficacia

Lo strumento di lavoro che ora utilizziamo, sia come strumento clinico, educativo, di ricerca e di politica sociale, è l’ICF, una classificazione che permette di rendere possibile il confronto tra dati raccolti in più Paesi, discipline sanitarie e servizi e fornire uno schema di codifica sistematico per i sistemi informativi sanitari internazionali.

La metodologia che usiamo è, invece, il frutto che ha integrato e applicato più linee di ricerca psicologica (M. Spivak e il comportamentismo – la teoria organismica e J. Piaget e la prospettiva psicoanalitica). Tutto il processo riabilitativo psico-sociale si sviluppa in sette fasi e, attraverso una ricerca personale e di gruppo – dentro/fuori – a più livelli; si cerca di rispondere agli interrogativi esistenziali – bisogni e desideri – e, aprendosi sempre più al contesto sociale, si cerca di diventare capaci di interagire con il mondo, moltiplicando le opportunità relazionali e di ricerca di un lavoro soddisfacente.

Un servizio è efficace quando è realizzato da persone competenti e motivate. Per questo, i primi anni, abbiamo riservato il sabato a una formazione interna in cui la comunicazione, partendo dalla “mission” del settore toccava i punti cardine di una scelta profonda che si innestava nella spiritualità ignaziana e metteva il povero e Cristo al centro di un’azione che era, a tutti gli effetti, di politica sociale e chiedeva di mettere al centro dell’azione la persona, una persona che fosse libera.

Questa liberazione diventa, approfondendo il tema: riabilitazione, recupero della relazione, formazione, apertura all’altro, al contesto territoriale, al lavoro. Necessità cioè di guarigione e di una visione del mondo e di sé nuove. Scopriamo così che, per accogliere e produrre cambiamento, abbiamo bisogno di vivere da persone libere.

Il nostro laboratorio diventerà il luogo privilegiato per metterci alla prova nella comunicazione e nel pensare insieme nell’idea di diventare una squadra con diverse competenze che si integrano e sono connesse dall’esercizio settimanale nell’équipe operativa multiprofessionale e nelle catechesi comunitarie settimanali.

Dal 2000 al 2002 frequento il Progetto Psichiatria, una formazione realizzata su tutto il territorio nazionale dal Consorzio “Gino Mattarelli” per le cooperative sociali che lavorano in strutture psichiatriche. Questa formazione si sviluppa all’interno di un progetto nazionale che, attraverso questa sperimentazione, individuerà gli strumenti clinici da utilizzare in tutte le strutture psichiatriche nazionali.

Il territorio e gli strumenti legislativi

L’esperienza del Progetto Psichiatria è stata molto coinvolgente e ha prodotto una serie di riflessioni che hanno portato il nostro servizio a scelte ulteriori di impegno sul territorio, a uno sguardo e una visione del servizio più calibrate sull’organizzazione, sulla sostenibilità e la sicurezza fatta con coscienza, libertà interiore, rispetto per le persone e filtrata attraverso un confronto individuale e di gruppo che insieme agli strumenti  di osservazione longitudinale e al dialogo ritmato e attivo con i familiari e con il territorio, ci permette di crescere e di affrontare, a più livelli, la problematica della salute mentale.

L’esperienza sul campo, la cura delle relazioni sul territorio e l’attenzione costante alla famiglia, insieme alla formazione settimanale ci hanno permesso di completare, nel 2010, attraverso una convenzione con l’Amministrazione Comunale di Lecce, l’affidamento della struttura ubicata nel quartiere S. Rosa di Lecce, un quartiere popolare ricco di servizi – sport, scuola, trasporti, cultura, università – per la realizzazione di una Comunità Alloggio psichiatrica che abbiamo chiamato “Piccoli Passi”, perché tali sono “i passi” per apprendere il rispetto dell’altro e per dialogare ascoltando e trovando insieme le vie del desiderio e quelle dell’applicazione attraverso le vie della realtà. Nel 2010 riceviamo l’autorizzazione all’esercizio e nel 2016 possiamo iniziare ad accogliere utenti inviati dall’ASL. Nel 2019 riceviamo l’accreditamento istituzionale e nel 2023 firmiamo il contratto che regolamenta la gestione tra ASL e la Comunità Emmanuel.

La formazione, la relazione con il Centro di Salute Mentale (CSM) che diventa l’ente con cui si intrecciano gli sguardi sull’utenza e la visione più applicativa rispetto alla salute mentale ci confermano sulle nostre posizioni di dialogo che mirano al cambiamento responsabile di ogni elemento coinvolto sul campo di azione.

La salute mentale è un bene di comunità trasversale a tutte le età della vita, va protetto e alimentato a più livelli da tutta la società. Il pensiero di poter accompagnare le persone anche nell’inserimento socio-lavorativo ci porta ad aderire al bando della regione Puglia 2013-2015 “APQ Benessere e salute -FSC 2007-2013-DGR n. 1158/2015 Indirizzi attuativi per la realizzazione di interventi socio-educativi e socio-sanitari di soggetti privati” per la realizzazione, in quattro moduli, di una Casa Famiglia o Casa per la Vita “ Le Casette” aperta all’accoglienza di 16 persone con disagio mentale, stabilizzate, fuori dal circuito riabilitativo e che necessitano di sostegno nel mantenimento del livello di autonomia e nel reinserimento sociale e lavorativo.

Una nuova esperienza: scegliamo la speranza!

Il progetto, non senza difficoltà, si è concluso nel 2020 e si è protratto, a causa di vari rallentamenti nel pubblico, sino al 2023 prima di poter accogliere e, attualmente, manca di poche unità per il completamento del numero totale degli accolti. Questa nuova esperienza mette in evidenza non poche criticità in una struttura (art. 70, Regolamento n. 40/2007 Regione Puglia) nata come socio-assistenziale e inglobata tra le strutture socio-sanitarie h24 senza prevedere un aggiornamento nella realtà che impattavamo fatta, in prevalenza, di cronicità, isolamento, farmaci, sofferenza, reattività e bisogno di cibo, televisione, cellulare e permanenza nella propria stanza. Ci troviamo a gestire, così da una parte, giovani laureati che non conoscono il disagio mentale, né hanno avuto, dall’università, una preparazione ad hoc, e utenti che manifestano dei bisogni istintivi che vanno socializzati, condivisi e diretti verso un obiettivo e un progetto personale adulto.

La nostra esperienza, intanto, si arricchisce nel guardare la nuova umanità che accogliamo, le differenti storie cliniche e le sofferenze che si nascondono e che appaiono nei momenti più duri, che non prevedono il cambiamento, né l’attivazione necessaria a un benessere in cui non credono più. L’équipe settimanale, la coordinatrice e la responsabile dell’accoglienza provvedono a ritmare “ascolto e accoglienza”, utilizzando ogni strumento di comunicazione interno ed esterno: si intensificano le relazioni e gli ascolti individuali e in piccolo gruppo, e le attività quotidiane, con vari spazi laboratoriali che attivano e motivano i partecipanti. Due psicologi volontari sono presenti e contribuiscono a mettere a servizio dell’équipe la storia clinica e il bisogno degli utenti e a indirizzare il gruppo verso una progettualità dettata dal desiderio e resa possibile anche dal coinvolgimento dei familiari. Questo primo anno di attività si chiude con dodici persone accolte; con tanti protocolli – frutto di esperienza sul campo e di incontri di gruppo – e con un clima stimolante e aperto al lavoro e all’esterno rispetto alle figure operative, agli obiettivi da realizzare e a quali utenti accogliere.

L’obiettivo primario, per le strutture psichiatriche del nostro settore, è chiaro: essere orientate alla recovery, cioè alla remissione dei sintomi, della disabilità, all’impegno attivo di ripresa e controllo sulla propria vita, fino alla realizzazione di sé e al pieno benessere.

Recovery è un percorso complesso e non lineare, non si raggiunge in un salto, ma solo attraverso piccoli passi, battute di arresto, ricadute e riprese. Il percorso non può essere forzato. Non c’è una ricetta valida per tutti. È unico per ogni individuo. È il prodotto di occasioni, eventi interpersonali e spirituali. Il ruolo degli altri è decisivo. Serve qualcuno intorno che non smetta mai di sperare, telefonare, incoraggiare; che resti ottimista malgrado tutto e che può essere chiunque, non necessariamente un operatore. Elementi caratterizzanti dell’esperienza sono il processo auto-diretto; l’assistenza individualizzata e centrata sulla persona; l’empowerment, la prospettiva olistica, il processo non lineare basato sui punti di forza; accessibilità all’aiuto tra pari, il rispetto, la responsabilità, la speranza.

Strade percorribili e nuove acquisizioni

Il nostro processo di apprendimento non si ferma, sappiamo, per esperienza, che le soste sono necessarie, le cadute sono inevitabili e aprono le vie a un’accurata riflessione, e questa, a una strada percorribile con una nuova acquisizione… Le nostre strutture psichiatriche, da 32 anni, sono un campo in cui sperimentarsi e crescere, non solo per gli utenti e operatori in servizi, ma anche per i volontari del Servizio Civile Universale (SCU; gli universitari tirocinanti; le scuole superiori con i percorsi per le competenze trasversali (PCTO).

Perché un insieme di professionisti, inseriti nel mondo del lavoro, ascoltando la città e le problematiche disattese si fa gruppo e, nella preghiera, decide un’azione che, via via, si struttura in varie realtà che danno risposte reali al territorio, e aprono, per i giovani, sentieri nuovi per coniugare il ruolo sociale e professionale con il bisogno di cambiare le relazioni di potere in relazioni d’amore, di accoglienza, di equità, di condivisione con chi è emarginato, senza casa, senza lavoro, e malato.

La Comunità Emmanuel nasce così nel 1980 e oggi continua ancora a nascere utilizzando tutte le possibilità di una società organizzata e la creatività che richiede l’urgenza di dare risposte a chi non ce la fa. È urgente salvaguardare la salute mentale di chi vive per strada, e si mettono insieme le forze in una co-progettazione, rispondendo in Rete a un bando dell’Amministrazione Comunale di Lecce. Si fa Rete per riuscire a sostenersi, insieme riconoscendosi e riconoscendo in questa azione le proprie competenze e quelle degli altri che, solidaristicamente, diventano “bene comune” e sostenibilità chiara, capace di attingere risorse da diverse fonti di umanità.

Dentro una scelta matura di servizio, il gruppo dei primi volontari Emmanuel risponde a una chiamata chiara e profonda: mette vita-con-vita con il povero; segue la strada segnata dal Maestro che parla al cuore; si fa piccolo nell’accoglienza e nella condivisione dei beni relazionali, materiali e spirituali, ascoltando e accogliendo il “segreto del re”, il “magis” e può sperimentare e generare “vita più”, entrando  nella ricchezza dell’umanità condivisa.

Ma un grande sogno si può realizzare solo a piccoli passi, con piccoli gesti, iniziando a costruire bellezza nel piccolo mondo che ci è stato affidato. (Ernesto Olivero, Buona Giornata, 15 dicembre).

E la mia “piccola voce” può, ora, intonare il canto della disponibilità piena alla Sua Voce che fa nuova ogni cosa.

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