Un passo alla volta
Mi chiamo L., ho 33 anni e ancora non so perché sono così… Perché ho sempre avuto, fin da piccolo, un’attrazione per tutto ciò che è pericoloso, partendo dagli sport estremi fino a infrangere la legge.
I limiti sono la mia ossessione, ogni volta che ne vedo uno lo devo oltrepassare e, una volta oltrepassato, ne devo oltrepassare un altro. Non so perché, è una vita che rischio continuamente, fregandomene, o non pensando, a quello che mi può succedere o alle conseguenze delle mie azioni. Sicuramente c’è qualche problema di fondo che ancora non ho ben individuato, spero che con il tempo, l’età e, sicuramente, l’aiuto di persone qualificate a fianco – come le ho ora – faranno arrivare al pettine e sciogliere tutti i nodi più oscuri della mia anima.
Con un’infanzia e un’adolescenza segnate da perdite importanti – persone a cui ero molto legato – e la separazione dei miei durante l’infanzia, anche se poi, quando io ero poco più che adolescente, i miei si sono rimessi insieme – ma anche questo è stato un problema perché mi ero abituato a vivere come vivevo. Il mio approccio con le droghe è avvenuto a 12 anni, che io ricordi più o meno nel periodo in cui a scuola ho cominciato a diventare popolare. A mano a mano che l’orologio inesorabile del tempo andava avanti facevo sempre meno sport, ho abbandonato anche le cose mi facevano stare bene e il mio unico pensiero era, sempre e solo, “sballarmi”.
A 14 anni ho incominciato a spacciare fumo ed erba, tra i 15 e 16 anni ho conosciuto la cocaina che fino ad allora avevo provato solo un paio di volte e, per la prima volta, l’eroina e, a questo punto ho cominciato a spacciare per comprarmi le droghe pesanti. A 17 anni, con amici che avevano appena preso la patente, ho incominciato ad andare ai rave. Lì ho conosciuto e provato tutte le droghe possibili e inimmaginabili, in tutti i modi possibili e inimmaginabili – ah già, perché “la mia prima pera” l’ho fatta a 16 anni. A 18 anni c’è stato il primo arresto, per spaccio e da quel momento, fino a quando avevo circa 26 anni non si è capito più niente: ero arrivato al punto che la mattina mi svegliavo – se dormivo – e il mio primo pensiero era fare soldi, in qualsiasi modo – estorsioni, rapine, furti, scippi, anche la produzione di documentazioni false, ero bravo con il computer – e andavo avanti così fino a quando – quasi sempre la mattina del giorno seguente – erano gli spacciatori che mi chiudevano la porta in faccia perché non mi volevano vedere più.
A questo punto le lacrime di mia madre e della mia ragazza di allora mi hanno fatto capire, per la prima volta nella mia vita, che “c’era un problema” e che dovevo chiedere aiuto. Sono entrato in Comunità – nell’Emmanuel – ma sono stato solo 7 mesi, perché a causa del mio brutto carattere ho litigato con il responsabile, che decise di allontanarmi per qualche giorno… io non ritornai, ma… qualcosa in me era cambiato: per un po’ di tempo non toccai sostanze, ma: da solo, in una città nuova, con pochi soldi in tasca… le vecchie strade e le vecchie abitudini sono tornate come prima, peggio di prima e io ho perso totalmente il controllo, e ho fatto male a tante persone, soprattutto a quelle che amavo di più.
Poi, quasi due anni fa, sono stato arrestato di nuovo e con una condanna di 5 anni… avevo distrutto tutto e avevo perso la cosa più preziosa che l’uomo abbia, la libertà! Pensavo che ormai la vita era quella, che non potevo più cambiare – che poi non si cambia, si cambiano le risposte che si danno alla vita – che ormai ero anche andato oltre l’ultimo limite e che non potevo più tornare indietro, ma ho avuto una grossa fortuna: le uniche persone che, nonostante tutto, non mi avevano abbandonato – i miei genitori e un’amica che ora è la mia ragazza – e, con loro, gli assistenti sociali del carcere sono riuscito a entrare di nuovo in Comunità.
Qui, dopo un anno di Comunità, un passo alla volta, comincio a capire molte cose di me: comincio a capire che sono fallibile, che non sono dannato, che la vita è duale, che c’è il brutto tempo ma anche quello bello. “Quel telo di velluto nero” che mi ero messo addosso, piano piano comincia a cedere, comincio, di nuovo, a vedere un po’ di luce e: voglio riprendermi in mano la mia vita, voglio cambiare le risposte che fino ad ora ho dato alla vita, non voglio più dipendere da niente e da nessuno… Come dice Caparezza in una canzone: «non è vero che non sei capace, che non c’è una chiave…» e: io sono capace! Troverò la chiave, e le persone che mi accompagnano in questo cammino me ne danno la certezza! Grazie a tutti.

